“I baci furono vietati all’inizio della seconda epidemia”
Si conclude con questa frase il libro di Giacomo Papi che, con il suo umorismo tagliente, mi ha riportato indietro nell’Ottocento, quando la politica e i suoi personaggi venivano rappresentati in modo caricaturale sulle pagine dei giornali.
Sin dal titolo è possibile intravedere l’argomento della narrazione, l’attuale situazione pandemica che ha colpito il mondo ormai un anno fa. Eppure, l’aver associato un aggettivo positivo (l’inglese “happy” che in italiano significa “felice”, “contento”) all’immagine di uno sparabolle che troviamo in copertina, ci preannuncia l’ironia nel raccontare una situazione che ha ben poco di felice e ironico (ironia fa anche rima con pandemia. Sarà un caso?).

Nella Milano alle prese con un’epidemia, che più tardi si trasformerà in pandemia, vivono Attilio e suo nipote Michele, appena ventenne, trasferitosi nella casa del nonno dopo la morte del padre e la ‘fuitina’ della madre con un rappresentante di Amuchina.
Attraverso i loro personaggi, l’autore ci mostra due modi diversi di reagire a un momento di crisi: da un lato, la preoccupazione di un anziano di ammalarsi e di non uscirne vivo, dall’altro, la preoccupazione di un giovane di non aver mai baciato una ragazza. Ora che i baci sono vietati, teme che non avrà mai più questa possibilità.
Uno sguardo ai ricordi del passato quello di Attilio, che prova a convincere il nipote a iscriversi all’Università, a lottare per il suo futuro come lui stesso aveva fatto da giovane. Interessante il rimando agli Aymara, popolo del lago Titicaca: se parlano del passato indicano davanti a sé, se parlano del futuro puntano il pollice dietro la schiena.
Uno sguardo smarrito, invece, quello di Michele, bloccato in un presente incerto, che non riesce a immaginare come sarà il suo futuro ed è ancora troppo giovane per avere ricordi del passato.
Nonostante il volere del nonno, Michele decide di non frequentare l’università e si lascia convincere dal suo migliore amico a cercare lavoro come rider presso Happydemia, la più grande azienda di psychodelivery del mondo. Questo lavoro costerà a Michele un incidente, la morte di un amico e un amore, perché nonostante la pandemia “[…] la vita non si ferma, si continua a respirare, a mangiare e a innamorarsi anche quando tutto sembra fermarsi e morire […]”.
Un invito a vedere le cose belle della vita anche quando sembra non ce ne siano più, un monito a prenderla con ironia questa vita, ché anche nei momenti più brutti il sole, poi, sorge sempre.
Ed è proprio l’ironia, velata di sarcasmo, il filo conduttore di tutto il racconto: dalla presentazione dei personaggi politici di cui sono stati storpiati i nomi (il Previdente del Consiglio, il Sparlamento, il Ministro degli Affari Miei, il Ministro del Lavoro Guadagno Pago Pretendo); alla volontà di una multinazionale di voler controllare il sonno delle persone, consegnando psicofarmaci a domicilio; alle piccole frasi stampate sui bordi di alcune pagine del libro, “Sei già arrivato a pag. 12. Ti sei lavato le mani?” o “Non metterti le dita nel naso. Ti ho visto!” o ancora “Non c’è niente da ridere. Vai ad aprire la finestra. Fila!”. Per non parlare poi della questione dei congiunti, qui presentata come la questione dei congiunti disgiunti aggiunti.
Tutto è stato amplificato sotto una lente di ingrandimento che permette di cogliere il lato divertente di ogni situazione.
E poi c’è il personaggio di Pitamiz, a capo di Happydemia, una figura controversa che in qualche modo rappresenta la volontà di speculare anche sulla vita delle persone in un momento così delicato.
Infine, la descrizione di particolari che se un tempo passavano inosservati, ora non più: Michele nota che Miriam si mangia le unghie, cosa che nessuno fa più da quando è scoppiata la pandemia.
Una curiosità che l’autore svela nei ringraziamenti: la trama è ispirata al Pinocchio di Collodi. Mi sembrava di aver intravisto la figura di Geppetto nel nonno Attilio.